Signature | Design come linguaggio

Da tempo lavoriamo con la plastica.

Difficile farne a meno se ami il design, specie quello prestazionale nel quale il bilancio forma – funzione fa i conti a muso duro con quello che riguarda efficacia – durabilità.

Il nostro lavoro sul prodotto si occupa spesso di piegare l’efficacia alla ‘forma-funzione’ attraverso il conferimento di un carattere.

Siamo convinti che si tratti di un’attività sana, che completa gli input del tecnico della produzione (spesso tradotti in fredde formule di un foglio excel, moduli d’inerzia, datasheet, ecc…) conducendo, al termine del processo di progettazione, al significato di un prodotto e del marchio del suo editore.

Quel carattere, appunto, che esprimono i prodotti ‘disegnati’ e che si manifesta col chiamare naturalmente il loro utilizzatore.

Il disegno, in effetti, è tale quando conferisce al prodotto uno specifico linguaggio tramite il quale esso ‘parla’ ai suoi naturali utilizzatori passando inosservato a quelli che non fanno per lui.

 

Lavorare con la plastica e disegnare la plastica.

Nella gran parte dei prodotti che disegnamo, la plastica è solo uno dei materiali che compongono sistemi articolati.

Ci sono casi poi, come quello che proponiamo, dove la plastica è l’unico materiale. La faccenda cambia profondamente:

  • Il prodotto è mono-componente o, al massimo, un numero ristretto di componenti co-stampati.
  • Il pezzo viene stampato a iniezione ad alta pressione in pochi istanti.
  • Quando la stampata è fredda la si può toccare e, in quel momento, è tutto finito.
  • Se va bene ok, sennò è tutto da buttare: prodotto, disegno, processo, stampi, prototipi ecc… Si salva solo l’esperienza.

 

Questo fatto crea una particolare magia e un approccio al progetto unico.

La squadra sa bene che ogni dettaglio, ogni piega d’irrigidimento, ogni curva, raggio, spigolo, lembo, sarà in plastica e non si scappa.

Il disegno sarà la sintesi assoluta di sagoma (forma-funzione) e struttura (efficacia).

Come sempre quando il livello di sintesi è così alto, e il processo giunge al termine, si arriva a prodotti molto equilibrati.

A volte troppo: guardandoli si stenta a leggere un linguaggio, uno stile, un potenziale acquirente che non sia semplicemente una persona priva di qualsiasi gusto.

In quei casi la sintesi di efficacia e forma ha prodotto, in termini di design, semplicemente il nulla: il prodotto è muto.

 

Altre volte, come nel caso di Signature, il primo obbiettivo è il carattere: la sintesi, tra efficacia e forma, deve creare un oggetto parlante.

Il percorso verso la sintesi finale resta irto di curve a gomito, sterzate improvvise e va condotto in punta di piedi per far sì che il design non risulti invadente.

La componente formale e funzionale deve restare discreta al punto, se possibile, da manifestarsi come naturale.

Sembra un ossimoro ma, per noi almeno, è così: un processo altamente industrializzato, pensato per numeri enormi, che lavora materiali di sintesi complessi, deve sembrare naturale.

Un processo che dà vita a oggetti nuovi ma, per qualche verso, necessari: culturalmente utili, dotati per questo di una componente di naturalità.

Magia dicevamo…

 

La cifra del cliente, gli obbiettivi del brand, sono fondamentali.

L’impressione – molto positiva nonostante le curve cui accennavamo – era che, grazie alla cultura del cliente, si stesse tutti lavorando in una stessa, chiara, direzione.

Come spesso accade in quei casi, si arriva prima e meglio all’approdo: una collezione dal carattere schietto, che parla a un preciso ‘tipo di cliente’ dando risposte appaganti e inconsuete.

Ancora plastica dunque … un materiale che sta cambiando profondamente acquistando velocemente una maggiore compatibilità ambientale.

 

Un saluto

 

 

 

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